Residenza di Amira-Géhanne Khalfallah

Dalle parole degli altri alle storie trascritte verso possibili realtà. Report della prima residenza artistica di Laminarie per il teatro DOM la cupola del Pilastro, nell’ambito della rassegna Contesto

Il lavoro dell’artista algerina Amira-Géhanne Khalfallah, realizzato nei giorni in cui è stata ospite della residenza artistica presso il teatro DOM la cupola del Pilastro, spazio gestito dalla compagnia Laminarie, mi ha fatto riflettere su alcune caratteristiche tipiche di uno dei generi che permea e attraversa la letteratura nazionale e internazionale dell’800 e del ‘900 fino ai giorni nostri.
Prima di passare all’approfondimento tematico è importante introdurre brevemente l’artista.
Amira-Géhanne Khalfallah è biologa chimica che nel 2001 intraprende una nuova strada lavorativa e inizia a comporre testi per documentari e per il teatro. La sua prima pièce è stata Le Chant des coquelicots scritta nel 2005 in occasione di una residenza a Limoges (Fr) e la seconda Les désordres du violoncelle scritta nel 2012 in collaborazione con la compagnia Éclats e in co-produzione con il Théâtre des Carmes di Avignone.
Il testo narra di una doppia prigionia vissuta dalle protagoniste durante i tempi di guerra, ponendo l’interesse sulla questione della condizione della donna, della sua relazione con lo spazio pubblico e sulla creazione di un mondo diverso per esorcizzare il proprio dolore.
Successivamente l’artista scrive Les Draps, pièce vicina al racconto contemporaneo che arriva tra i tre finalisti del premio Inédits d’Afrique et d’Outremer, messo in scena da alcuni studenti della scuola per attori di Cannes in occasione del festival Dramaturgie arabe contemporaine, prima a Marsiglia nel 2013 nell’ambito di Marsiglia Capitale Europea della Cultura, poi in tournèe in Marocco, grazie al sostegno dell’Istituto di Cultura Francese, nel 2014.
Les Draps rappresenta la metafora della vita, infatti le drap è un panno di lino, il tessuto viene usato sia quando nasce un neonato sia quando si celebra un matrimonio sia per avvolgere i morti. L’artista lo definisce come “uno strumento magico dove filano non solo lenzuola e tappeti, ma anche storie per scongiurare il proprio destino”. Un ripercorrere le varie fasi e tappe della vita umana. Ma il lavoro di Amira si rivolge anche a un pubblico più giovane con Mayla, la città introvabile, nel quale si contrappongono ancora la logica e il magico. Seguirà il racconto Les mots qui manquent à la danse di cui un adattamento è stato messo in scena a Ouagadougou nell’ambito del Festival del racconto e in Francia, in occasione del Festival Back to the trees.
A febbraio del 2017 arriva a Bamako con la direzione di Herni Thomas. Le tematiche trattate dalla drammaturga spesso affrontano la realtà, toccando argomenti molto attuali e scottanti come a esempio le condizioni di genere ma anche, e soprattutto, le frontiere, il superamento d’esse, la partenza e l’arrivo in un altro paese, l’importanza della rappresentazione della città, della nozione di appartenenza e l’apprendimento di un’altra cultura, che per Amira sono tasti di notevole rilievo.
La residenza proposta a DOM segue la logica di tutte le sue riflessioni e dei suoi lavori precedentemente creati e in evoluzione fino a oggi negli spazi del Pilastro e della cupola. Les mots des autres, infatti, è un lavoro sulla sonorità. Un lavoro che confronta due lingue e che le trasforma, poiché subiscono una sorta di effetto a “specchio” che come un prisma deforma la nuova lingua e attraverso il teatro supera i luoghi comuni.

Amira-Géhanne Khalfallah

  • Parlami di Les mots des autres? 

"Il mio progetto attuale Le mots des autres, si occupa delle frontiere. Quelle che ci vengono imposte ogni giorno e che non sono sempre visibili. A volte (e spesso) sono nella nostra testa, infatti la questione più pericolosa è che pensiamo questi confini reali. È proprio a partire da ciò che deve iniziare il processo di decostruzione, per riuscire a costruire di nuovo".Immergendosi nel rione bolognese Amira ha cercato di rappresentare la sua ricerca artistica. Les mots des autres narra la storia dei luoghi raccontata dagli abitanti del Pilastro che l’artista ha intervistato e filmato con l’intenzione di raccogliere le molteplici narrazioni e dare vita all’effetto prisma. I video e i racconti hanno la durata di un minuto al quale poi segue la narrazione scritta dal pugno dall’artista. È proprio qui che si ricollega l’approfondimento rispetto alla letteratura fantastica. Il raccontare un accadimento è già una frammentazione della realtà. Il leggere un proprio testo è già un allontanamento dal consueto. Il fatto che il testo sia completamente diverso non fa altro che generare un ulteriore distaccamento dalla consuetudine, anzi è proprio questa separazione che dà vita a possibili verità. La storia dei personaggi coinvolti e del luogo viene riletta dall'interpretazione di Amira che si distacca dal quotidiano dei nostri narratori. Nel saggio La letteratura fantastica, il filosofo e saggista Cvetan Todorov sostiene che il fantastico nasca quando nel mondo che conosciamo, il nostro, si verifica un avvenimento extra-ordinario. Il fantastico occupa proprio il lasso di tempo dell’incertezza e dell’incredulità che si crea e che viene suscitata dall’altra verità e dal fatto che l’ha prodotta. Todorov conclude la sua definizione dicendo che “al di là del piacere, della curiosità e di tutte le emozioni che suscitano questi racconti, lo scopo reale del viaggio meraviglioso e fantastico è l’esplorazione più completa della realtà universale”.
Il lavoro di Amira genera qualcosa che ha le matrici per poterne diventare tale. Aperture, fessure, labirinti rispetto a quanto di più certo si credeva ci fosse, come i racconti e le storie narrate dagli ospiti, protagonisti della performance. 
La drammaturga ha avuto modo di conoscere direttamente i posti e le persone, che le hanno aperto possibili ponti verso aneddoti divertenti o verso il passato, il loro passato.
La creazione del Circolo La Fattoria raccontata dal signor Oscar ne è un esempio: "Questa era una stalla…, i volontari del Circolo La Fattoria, per renderla agibile ai cittadini, hanno fatto i lavori…"
L’elemento fantastico pertanto è presente in questo lavoro site-specific che l’artista ha svolto durante i suoi 20 giorni di vita nel rione periferico e in città, poiché il fantastico si genera proprio dall’alterazione fugace della regolarità. In questo caso oltrepassando i confini linguistici che ti portano verso un altrove. Il genere fantastico inoltre predilige racconti brevi, e cosa sono i testi scritti da Amira se non racconti? Li possiamo vedere come tali. Queste storie hanno strutture metadiegetiche, ovvero sono lette da qualcuno al quale è stato a sua volta raccontata la storia, il titolo stesso è un esempio. La letteratura fantastica gioca con il linguaggio manipolando e associando immagini in quanto le parole possono creare un’ulteriore e diversa quotidianità. Questa è una funzione molto importante della letteratura; far nascere dei meccanismi linguistici per aprire varchi e condotti che si ricollegano con le “altre storie”, le storie degli altri.

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Amira ha sfruttato la sua incomprensione usando e puntando sul mezzo linguistico che non conosceva. Un esempio è la storia del signore Romano quando ci narra dell’acquisto della friggitrice per friggere le patatine: “In più c’era un rinfresco e avevamo preso una friggitrice per friggere le patate”.  Amira ha creduto che nel parco si dovessero piantare delle patate perché faceva fresco: ”Di fatto abbiamo iniziato a piantare patate nel parco”. Altro esempio di nuova narrazione è l'ultima riunione del Partito Comunista Italiano avvenuta alla Fattoria dove poi è stata segretamente negoziata un'alleanza con la Democrazia Cristiana. Ed è quando il lettore ascolta il racconto che rimane perplesso e smarrito. Uno spaesamento dovuto alla scoperta di un altro luogo, ma inserito nella propria quotidianità, nello spazio che ben conoscono, di cui hanno narrato la storia, il ricordo, l’avvenimento; un percorso di rimembranze fatto proprio. Qui entra in gioco il contesto, ripetuto più volte come evoluzione di fatti, ma in primis di esperienze personali vissute dai nostri protagonisti: i narratori.

  • Il lavoro che hai svolto al Pilastro pensi ti abbia aiutato a conoscere il reale contesto e i suoi abitanti?

Questo lavoro mi ha portato a comprendere i meccanismi di comunicazione di cui non avevo idea. Utilizzando il posto come alibi, si parla di se stessi più facilmente. Ci si addentra nell'intimo senza alcuna resistenza. Si tratta di un modo indiretto di parlare di sé. È più toccante. Inoltre, ho scoperto grazie a ogni persona, un modo diverso di raccontare una storia, di raccogliere componenti. Anche l'intonazione della voce ad esempio cambia quando si parla di qualcosa che tocca. Si impara ad ascoltare l’altro con tutto ciò che abbiamo a disposizione: le nostre orecchie, i nostri occhi, i nostri cuori, le nostre mani... tutto il corpo è sveglio. Inoltre, ogni oggetto intorno a noi, il movimento del corpo o la postura possono diventare la chiave della comprensione. Sono essenziali”.
I luoghi sono concreti perché è proprio nella città, nel rione, che avvengono gli incontri e possono fungere da panorama reale pronto ad accogliere l’incontro con l'altro, con la sua visione, il suo sguardo; momento di grandissima importanza per la definizione di una propria identità, che propone immagini di noi stessi e degli altri inseriti in determinati ambienti e spazi. I nostri narratori sono stati complici di Amira e si sono prestati al progetto, a diventare portavoce del rione e di una parte della comunità della zona. La lingua funge dunque da unione e differenziazione, da spiazzamento e, in questo caso, da decontestualizzazione. I narratori ancora una volta sono stati complici di Amira nell'essere disposti a scoprire un altro possibile contesto. In fondo anche il loro è portatore del proprio punto di vista. Starà allo spettatore lasciarsi guidare in questo attraversamento estetico del Pilastro, come Amira propone proprio nella sinossi di presentazione del progetto: “Il viaggio inizia proprio dall’origine, da dove si abita”. Percepire l’essenza del luogo attraverso la mediazione del senso stimolato dal linguaggio corporeo e visivo. Un andare oltre contesto che rovescia i ruoli degli intervistati che diventano i personaggi principali delle storie narrate di questo e dall'altro mondo, come se nascesse un loro doppio, altra peculiarità del genere fantastico. Ma la volontà di Amira non è quella di creare molti mondi bensì, come già detto, decontestualizzarli. Les mots des autres è una mis en scene di tale atto che l'ha vista coinvolta in questa residenza artistica. Le storie da semplici ricordi diventano narrazioni ulteriori, in cui il narratore è il protagonista di un viaggio verso un altro contesto. Ed è qui che spetta al nostro protagonista decidere se si possono tirare le fila del racconto accettando l’altro Pilastro o se decidere di lasciarlo. Nonostante alcune storie siano rimaste abbastanza aderenti e si siano distaccate di poco da quelle reali viene sottolineato in questo report l’effettiva matrice che si potrebbe generare in un lavoro più approfondito verso questa direzione.

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  • Che risultati pensi ti abbia portato questo lavoro?

Questo lavoro mi ha dato forza e coraggio di continuare in altri paesi. Altre lingue e di altre culture e di scoprire altri punti di contatto o di separazione esistenti, visibili e non”.

 

 

 

 Le foto pubblicate sono del fotografo Mario Carlini.

Per approfondire

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ultima modifica 2017-07-04T12:59:00+01:00
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