Residenza di Isabel Cuesta Camacho
Rotazioni e camminate, esplorazione dello spazio con piroette, piedi a pianta larga, saltelli e incroci. I corpi che delineano i perimetri della cornice bianca disegnata a terra. Diagonali che tagliano lo spazio e ne sottolineano gli angoli retti del rettangolo tracciato sul parquet del teatro. Dietro, un telo che funge da sfondo della scena. Così si apre la terza e ultima residenza ospitata a DOM.
L’artista in questione è Isabel Cuesta Camacho, una danzatrice, coreografa e giornalista di origini colombiane. Inizia la sua formazione di danza a Londra conseguendo il Diploma in Danza, proseguendo poi con un Master in Coreografia presso l’ArtEZ Institute of The Arts di Arnhem (Olanda) e un Master in Giornalismo a Madrid (Spagna). Come giornalista ha lavorato per il quotidiano spagnolo El País nella sezione cultura e cronaca locale mentre come docente di danza ha lavorato all’interno di programmi di formazione professionale in Olanda, a Bogotà e a Caracas. Nel 2014 esce il suo libro Il corpo che compone, grazie al quale vince il premio di ricerca in danza della Secretaria de Cultura de Bogotá nel 2013, in cui descrive la propria metodologia di lavoro. Nella sua vita e nelle sue produzioni fonde le sue professionalità, le quali sfociano in opere artistiche che declinano le varie sfaccettature analitiche, di raccolta dati e indagini giornalistiche assieme a quelle di composizione, presentazione e messa in scena proprie dell’arte. Le tematiche scelte da Isabel denunciano l’oggi, le politiche e i flussi migratori di ora e della storia contemporanea, di persone provenienti da altri paesi in cui c’è la guerra - come la Siria - che attraversano il mare, le pene, finiscono per essere vittime di tratta costrette a pagare il debito che hanno accumulato per andarsene via dal proprio paese. Gli argomenti affrontati dall’artista richiamano anche il passato prossimo, la forte migrazione italiana che ci fu, quando gli stranieri erano i cosiddetti “meridionali” che si trasferivano al nord per cercare un’occupazione e un po’ di fortuna. Isabel Cuesta per dare vita a Impronte, progetto artistico “incentrato sui segni della migrazione nel Pilastro”, ha dialogato con gli abitanti del rione visitando i luoghi in cui lavorano, vivono e a cui hanno dato vita. A questo proposito come non ricordare gli studi di Teletorre 19, la TV condominiale nata nel 2001 da un’idea del signor Gabriele Grandi. Tra tutte le interviste fatte quelle che hanno introdotto maggiormente la coreografa in questa creazione sono state proprio quelle proposte agli abitanti più anziani, i quali vivono al Pilastro da più di dieci anni, che l’hanno così portata indietro nel tempo, verso l’Italia degli anni ’70 - ’80. Molto importanti poiché è riuscita ad avere testimonianze dirette e a comprendere ciò che fu questo paese su cui ha posato e apportato il suo sguardo. Una peculiarità di tutte e tre le residenze da sottolineare, ancora non detta negli altri report, sta nel fatto che gli artisti ospitati sono tutti internazionali. Essi hanno incanalato informazioni diverse e le hanno fatte proprio tramite il mezzo artistico che, in questo terzo caso, comunica con la danza.
Isabel Cuesta Camacho tramite la documentazione raccolta ha conosciuto un’Italia attiva e partecipata, che dava voce alle lotte della classe operaia, alla presenza dei sindacati, che ha visto le uccisioni di politici noti o gli attentati dei cosiddetti “anni di piombo”. Interessanti poiché sono storie di vita che dalle vicende politiche italiane nazionali giungono a Bologna e, nello specifico, al Pilastro. Una lente d’ingrandimento che legge e scorre gli usi di un tempo e la visione di persone che hanno deciso di stare qui, di abitare il rione cittadino, di vivere in questa zona e in questi luoghi. Cittadini adulti che non hanno prospettive future di trasferimento, come i giovani che sperano in un altrove, ma che hanno vissuto sulla propria pelle il lavoro svolto dalle amministrazioni locali, dalle associazioni di quartiere e da tutte quelle realtà che hanno reso il Pilastro un caso e un esempio di convivenze e collettività molto speciale.
"C’è tutto qui, non si è obbligati ad andare in centro". Frase tratta da un’intervista svolta, che conduce a una domanda aperta: si parla ancora di periferia dunque? Si parla di altra zona o semplicemente di una Bologna poco conosciuta nonostante tutto?
La residenza di Isabel però non coinvolge solo gli abitanti del Pilastro ma anche dei professionisti, danzatori provenienti da varie scuole di danza con cui è entrata in contatto grazie a precedenti lavori svolti nel capoluogo emiliano.
Altra nota distintiva è che tra i danzatori c’è la presenza di un ballerino rifugiato politico del Gambia e di un attore professionista che si mette in gioco e affronta le azioni coreografiche sebbene mantenga il suo ruolo d’attore, interpretando una parte di monologo estratto da Acido Fenico, opera scritta da Giancarlo di Cataldo. Nuovamente si torna all’Italia passata, all’Italia e alla sua connotazione mondiale che la lega inscindibilmente alla mafia. Mafia che per Isabel Cuesta rappresenta una via di non fuga. Molte persone non avendo altre possibilità sono state coinvolte all’interno di giri malavitosi. Persone che da sud hanno riportato questi stessi giri di criminalità al Pilastro contribuendo a creare la fama di questa zona come pericolosa. In Acido fenico si parla di malavita, dell’odore del porto, del mare e della vicenda di Caruncho. Il protagonista afferma che "Non si diventa mafiosi per la vita che si ha avuto, ma si sceglie" una delle frasi che costellano il testo nato appositamente per il teatro, presentato al Festival di Santarcangelo nel 2009.
Nello spettacolo vediamo come oltre alle diversa frammentazione in cui viene articolata l’idea artistica, Isabel compone e cuce le quattro opere costitutive di Impronte utilizzando i diversi linguaggi e mezzi per trasmetterli. Musiche, video ripresi nelle aree verdi della zona cittadina, interviste proiettate in concomitanza alla danza dal vivo dei ballerini, che ne descrivono le parole trasmesse.I monologhi si tramutano nelle voci dei protagonisti che sorgono improvvisamente nella scena e compongono l’area interpretativa e di dialogo narrato. Logos e danza del corpo che confluiscono in queste narrazioni collettive confermando la fusione dell’arte di Isabel Cuesta, giornalista e coreografa, in cerca forse di una realtà tangibile da denunciare per le ingiustizie e verso cui dire “no, io non ci sto”. Impronte ci parla di confini, di spostamenti ma anche di stasi; ci descrive le storie di chi ha deciso di fermarsi in un luogo e farlo proprio; orme e segni di una creazione artistica che indaga sulla verità, sulle delimitazioni politiche tracciando volti di una vasta umanità.
Le foto pubblicate sono del fotografo Mario Carlini.
Per approfondire
Intervista Isabel Cuesta Camacho - di Simone Azzoni - Artribune