Residenza artistica - Artisti nei Territori
Teatro Del Sangro – ITACA

Descrizione

Itaca – Residenza per Artisti – è una fucina di residenze ma anche di incontri, dibattiti, presentazioni di libri, laboratori, mostre e spettacoli.
Una delle linee guida del lavoro che vogliamo approfondire attraverso il progetto Itaca è il teatro inteso come “teatro dei ritorni”, un progetto artistico fortemente orientato, che tenta di ripensare e re-inventare attivamente alcuni aspetti fondanti della tradizione teatrale.

GLI ARTISTI
Il progetto triennale Itaca – Residenza per Artisti – prevede un grande lavoro di promozione e valorizzazione degli artisti del territorio, di alcuni maestri della scena contemporanea e di tre compagnie teatrali dall’estero, con una particolare attenzione ai giovani artisti abruzzesi.

Compagnie e artisti in residenza

ANNO 2022
Teatro ANDAMIO ’90 (Argentina)
Compagnia NoveZeroSei (Abruzzo, Italia)
Vito Signorile e Antonio Stornaiolo (Teatro Abeliano, Italia)

ANNO 2023
Claudio de Maglio (Accademia d’Arte Drammatica Nico Pepe, Italia)
Maril Van Den Broek (Francia)
Gianluca Castellano (Abruzzo, Italia)

ANNO 2024
Dario “Cage” De Remigis (Abruzzo, Italia)
Ruben Pires (Argentina)
Filippo Gessi (Scena Nuda, Italia)

Tutti gli artisti chiamati a dare sostanza al progetto triennale 2022-2024 Itaca – Residenza per Artisti – sono figli della rivoluzione teatrale novecentesca: il teatro non può che essere rivolta, il teatro non è solo “spettacolo” ma un modo di essere e reagire. Tutti gli artisti che saranno ospitati in residenza sono inseriti a pieno titolo nella tradizione della rivoluzione teatrale novecentesca, perché si sono formati come teatranti attraverso esperienze di marginalità artistica, produttiva e territoriale, dove l’attore ha dovuto re-inventare e ri-definire il suo ruolo e il suo sapere, dove il regista ha dovuto re-impostare i dispositivi di spettacolo e i saperi della scena cercando una comunicazione più autentica con gli spettatori. Questi attori e questi registi si sono spesso dovuti “inventare” come organizzatori per dare visibilità e respiro a un teatro fatto inizialmente fuori dal sistema dei teatri.

I TEMI
Itaca – Residenza per Artisti – intende ospitare pratiche teatrali e culturali che si configurano sotto il segno di una sorta di Rivoluzione Conservatrice.

Tre ritorni caratterizzano Itaca – Residenza per Artisti –; il ritorno all’attore, il ritorno al racconto e il ritorno al rito. Abbiamo chiamato Itaca questo progetto triennale perché riteniamo che ci sia una filosofia che accompagna i passi della vita degli attori e dei registi teatrali oggi, una filosofia che si può esprimere in un verbo che è speranza, promessa e pure invocazione: tornare. Tornare è un moto verso l’origine. Non si torna al passato ma all’origine.
Il “rivoluzionario conservatore” è colui che pensa dinamicamente il passato. Egli rigetta il passato che si coniuga al passivo, un lasciarsi andare al rimpianto di ciò che ineluttabilmente è già stato. L’essenza del “rivoluzionario conservatore” si scontra con l’idea del passato perché guerreggia con l’usura imposta dal tempo andato, resiste alle intemperie del già stato, salvando ciò che non muore da ciò che è trascorso. Il suo è un ripensare attivo delle origini, in cerca di invarianze, oltre le distruzioni e le dissipazioni del tempo. Il suo nemico principale è il passatismo.
Ecco quindi che anche Itaca – Residenza per Artisti – sotto questa luce ci appare e ci si presenta come un “teatro dei ritorni”, un progetto artistico che tenta di ripensare e re-inventare attivamente alcuni aspetti fondanti della tradizione teatrale. Tre ritorni caratterizzano la pratica di teatro di cui parliamo; il ritorno all’attore, il ritorno al racconto e il ritorno al rito.
Il ritorno all’attore significa innanzitutto che l’attore ri-diventa il cuore dell’azione teatrale. Corpo, parola, azione, emozione, intenzione; in una parola il personaggio. Il teatro è finzione, visione. Il teatro per l’attore è disciplina. Ogni esplosione visionaria deve essere padroneggiata. Il traboccare fisico delle emozioni deve essere canalizzato, controllato, e così divenire un’ondata che porta con sé segni espliciti. L’attore è un individuo che riesce ad acquisire un controllo del proprio corpo, a gestirlo in modo automatico, al fine di poter trasmettere e trasformare le proprie immagini mentali in impulsi fisici.
Il ritorno al racconto vuole significare solo ed esclusivamente il ritorno ad una dimensione narrativa del teatro. Raccontare storie, ri-trovare un filo narrativo con gli spettatori sforzandosi di veicolare attraverso una storia tutta una poetica (che, evidentemente, non si riduce al solo piano del racconto).
Il ritorno al rito è il tentativo di coinvolgimento “altro” degli spettatori rispetto alle paludi dell’intrattenimento teatrale e televisivo. Tornare al teatro come rito significa costruire uno spettacolo e viverlo con il pubblico attraverso una sorta di rischio condiviso, dove le carni, i corpi degli attori pulsanti e percepibili costruiscono un meccanismo di partecipazione spiazzante, una “cerimonia” capace di toccare il cuore degli spettatori senza fargli male.

I CONTENUTI
Quasi sempre gli artisti figli del Novecento teatrale ri-scrivono dai testi della letteratura drammatica, anche qui assumendo in pieno la “lezione” novecentesca e rimanendo coerenti fino in fondo con la scelta di pensare e praticare dinamicamente il passato. Anche i teatranti ospiti del progetto triennale 2022-2024 Itaca – Residenza per Artisti – lavorano in questa traiettoria.
Il teatro ha qualcosa di singolare e anomalo: tramandarlo (quando decidi di veicolare un testo) e interpretarlo sono un gesto unico. Il teatro è comunicazione ed esiste nel momento in cui lo si attua: e nel momento in cui lo si attua, avendo per le mani un testo, non si può fare a meno di interpretarlo. Il gesto che conserva il testo, che lo tramanda, è fatalmente corrotto dalle infinite variabili legate al gesto di praticarlo. Ciò ha condannato il mondo del teatro a un eterno complesso di colpa nei confronti dei testi della letteratura drammatica: si teme costantemente di tradire l’originale perché si sente che è un modo di smarrirlo per sempre. Lo sdegno di un “filologo” che di fronte a un’interpretazione un po’ ardita sbotta nel classico “ma questo non è Shakespeare” equivale allo sgomento con cui si apprende il furto di un quadro da un museo. Ci si sente derubati. Questo timore ha inchiodato e continua in qualche modo ancora oggi ad inchiodare la pratica dell’interpretazione teatrale (nonostante il Novecento, ossia nonostante il secolo che segna l’avvento della regia prima e l’esplosione delle drammaturgie classicamente intese poi). Per uscire da questa impasse ci sarebbe un modo drastico e definitivo: avvertire una volta per tutte i “filologi” e un certo pubblico del teatro che l’originale non esiste. Che il vero Shakespeare, ammesso che si possa parlare di un vero Shakespeare, è stato smarrito per sempre. La storia è una galera dalle sbarre larghe. Qui si continua da parte di qualcuno a fare i secondini di un prigioniero evaso ormai da tempo. Volendo, non mancano motivazioni ovvie e elementari per suffragare una notizia del genere. Dai tempi di Shakespeare sono cambiate troppe cose: la prassi teatrale, il contesto sociale, i termini di riferimento culturali. Il teatro che pratichiamo oggi è lontano parente del teatro praticato allora, differenti sono i modi e le motivazioni sociali che condizionano la fruizione. Negli occhi si ha il cinema, la televisione, internet, nella mente parole d’ordine completamente diverse, nelle orecchie convivono Mozart e Madonna, Brahms e i jingles pubblicitari.
Dal punto di vista dei contenuti, delle storie che gli artisti scelti per le residenze sentiranno il bisogno di tradurre in azioni, immagini e visioni, saranno sviluppati lavori verso un territorio drammaturgico che potremmo definire come “teatro della crisi”.
Un “teatro della crisi” che si ritrova strumento di denuncia, dove si cerca di “mettere in scena” il malessere e le contraddizioni del proprio tempo; senza più le illusioni di trasformazione della società nutrite negli anni sessanta ma con il peso e il senso di sconfitta di intere generazioni. Il teatro diventa così un rituale preparatorio ad una fine imminente; ed è anche metafora del crollo di una grande illusione: la capacità di trasformare un mondo sempre più controllato dai mercati e dalle merci, dove l’impossibilità del cambiamento, l’impotenza e l’inerzia divengono rifugio e il dramma individuale, privato e minimale viene vissuto come difesa e scudo all’immutabilità degli eventi.
Un “teatro della crisi”, quindi. Crisi di valori e d’identità e crisi del linguaggio che si esprime per rotture e crolli linguistici, per frantumazione di segni e per una particolare creazione di personaggi disturbati e nevrotici. Queste pratiche teatrali vogliono essere precisate da determinate connotazioni: alterazione del linguaggio, invenzione di una lingua, mutazione profonda del personaggio, predilezione per il mondo dei reietti e dei dimenticati, discussione interna alla stessa convenzione teatrale. Reinvenzione di un linguaggio e di una lingua; linguaggio e lingua che cercano di ritrovare nuove comunità e nuovi pubblici.

GLI OBIETTIVI
Ciò che ci interessa è di agganciarci a quella somma di esperienze che hanno, negli ultimi trentacinque anni, modificato profondamente il linguaggio teatrale e le capacità e le possibilità produttive nel segno di una forte tradizione dell’agire teatrale, portando ad acquisizioni che sono diventate oramai patrimonio di tutti.
Noi riformuliamo con forza un teatro necessario per luoghi piccoli, angusti, per spettatori – talpa, per scatti di coscienza e di consapevolezza. Vogliamo avere un interlocutore privilegiato: lo spettatore “che cerca”, ovvero quello che non si riconosce negli standard di un’offerta culturale istituita per assecondare quella domanda di un teatro d’abitudine che conserva i repertori. È lo spettatore che cerca di conoscere il teatro, cosa ben diversa dal “riconoscerlo”, secondo il principio psicologico rassicurante sul quale si fonda la programmazione dei soliti testi, magari interpretati da qualche attore noto, a sua volta riconoscibile.

Indirizzo
Via Abbazia, 10, 66030 Treglio, Italia

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